p. Carlo Colonna s.j. - GLI EBREI MESSIANICI, un segno dei tempi - Edizioni Fede e Cultura, 2009 - pagg.208, euro 18,00


di Piero Vassallo

Fu Marx autore del paradosso secondo cui solamente l’apostasia dal monoteismo, cioè la soppressione dell’identità religiosa, poteva garantire agli ebrei della diaspora la pacifica convivenza e l’integrazione con gli alti popoli.

Freud, avanzando nella direzione indicata da Marx e anticipando Simone Weil, arrivò al punto di affermare che il monoteismo ebbe origine dall’intrusione della teologia professata dall’egiziano Mosé nell’universo di un popolo di consolidata tradizione politeista.

Al seguito di Freud, alcuni esponenti della più rovente eterodossia ebraica, Walter Benjamin, Ernst Bloch, Simone Weil, Herbert Marcuse, Jacob Taubes, facendosi interpreti dell’avanguardia ultracomunista e precursori dell’anarchismo sessantottino, proposero addirittura il rovesciamento della teologia monoteista in un politeismo conforme al pensiero di Nietzsche (il filosofo nel quale Freud riconosceva il proprio ispiratore).

La nuova ateologia contemplava l’avversione alla divinità onnipotente e malvagia (identificata con il Dio dell’alienante religione di Mosé) e nutriva la speranza (vaga) nell’idea della bontà del ribelle (ora identificato con il Gesù immoralista delle eresie gnostiche ora con il Dioniso nietzschiano, simbolo della trasgressione coribantica).

L’avversione di Benjamin, Bloch, Weil, Marcuse, Adorno e Taubes alla tradizione monoteista non vacillò neppure davanti alla conclamata uguaglianza della loro teologia con i princìpi del cristianesimo tedesco, quel furente delirio che i neopagani di Germania usavano al fine di giustificare la persecuzione e lo sterminio degli ebrei.

La radice politeista del neopaganesimo tedesco è un’ovvia verità. D’altra parte è accertato che, alla luce di un chiuso ed esasperato monoteismo, la fede nel Dio uno e trino dei cristiani fu giudicata politeista.

Probabilmente gli autori dell’apostasia ebraica s’illudevano di disarmare l’antisemitismo di radice politeista appropriandosi degli argomenti ultimamente lanciati dai nazisti contro il monoteismo.

Sennonché, dopo la sconfitta del persecutore nazista, agli ebrei si oppose un imprevedibile nemico: l’alleanza islamica, che professava un’intransigente fede monoteista.

In Palestina, infatti, gli ebrei furono coinvolti nella guerra inedita che fu avviata, nel 1948, da antisemiti monoteisti. Guerra assolutamente anomala e imprevedibile: perfino l’accorto Ben Gurion nutriva un’idea sbagliata intorno agli arabi di fede musulmana, un giudizio che nascondeva la radice fanatica della loro incombente ostilità e alimentava una disarmata fiducia nella buona disposizione del presunto sangue fraterno (cfr. “Perché Stalin creò Israele”, prefazione di Luciano Canfora, introduzione di Enrico Mentana, Sandro Teti editore, Roma 2008).

La guerra islamica per un verso smentiva gli argomenti di Marx, di Freud e dei loro continuatori postmoderni sull’ispirazione politeista dell’antisemitismo, per l’altro verso poneva il problema di una nuova e diversa riflessione “sull’identità ebraica legata alla non accettazione di Gesù come il Messia di Israele”.

Ora la nuova situazione del problema ebraico è oggetto di un avvincente saggio, “Gli Ebrei messianici Un segno dei tempi”, edito in Verona dall’animosa Casa editrice Fede k Cultura scritto dal gesuita Carlo Colonna per rivelare l’orizzonte cristiano dell’ebraismo e la radice ebraica della cristianità. Infine per promuovere il vero ecumenismo.

Il ritorno degli ebrei nella patria assegnata a Mosé, infatti, impone di continuare la riflessione (avviata nel 1967 dal cardinale Giuseppe Siri) sulla profezia del Vangelo di San Luca, che annuncia la fine delle persecuzioni e dell’esilio: “Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti” (Lc. 21, 24).

Non per caso, proprio alla fine della guerra conclusa con il ritorno degli ebrei a Gerusalemme, i fratelli Ruben e Benjamin Berger, fondarono la comunità di ebrei messianici, che professano la fede in Gesù Cristo e celebrano l’Eucarestia dichiarando di credere nella presenza reale del Signore.

E’ lecito affermare pertanto che gli ebrei messianici “sentono che sta per venire il tempo in cui si sanerà la prima e più fondamentale divisione della Chiesa di Cristo, quella avvenuta fin dall’inizio della predicazione del Vangelo, quando ebrei increduli e cristiani credenti in Gesù si scomunicarono a vicenda”.

Padre Colonna, che segue con passione illuminata dalla fede il cammino degli ebrei cristiani, afferma che la loro splendida avventura, oltre che a facilitare la comprensione della radice ebraica della fede cattolica, incoraggia “a pensare gli attuali ebrei che credono in Gesù, come i continuatori dei primi giudei credenti in Gesù e quindi nostri veri fratelli nella fede non li fa confluire nelle Chiese tradizionali d’Occidente e d’Oriente, ma viene vissuta in comunità, che praticano le osservanze ebraiche tradizionali”.

Il nuovo resto d’Israele, costituito per manifestare la fede in Gesù vero Dio e vero uomo, diffonde la luce necessaria a lacerare la cortina fumosa sollevata dalla considerazione pessimistica del successo planetario ottenuto dagli ebrei sessantottini, che hanno interpretato la gnosi spuria, abbandonando la fede di Mosé.


il libro può essere richiesto direttamente alla Casa Editrice Fede e Cultura


per tornare in copertina, clicca qui

Alberto Rosselli - BREVE STORIA DELLA GUERRA CIVILE GRECA 1944-1949 - edizioni Settimo Sigillo, 2009


La Guerra Civile Greca (1944-1949), rappresenta un argomento poco toccato dalla storiografia corrente e ancor meno conosciuto dal grande pubblico. Tuttavia questo conflitto rappresentò una tappa molto importante non soltanto per la storia nazionale ellenica, ma anche per l’Europa, in un’ epoca nella quale stava calando la “Cortina di ferro” e il resto dell’ecumene veniva diviso in due blocchi ideologici, cristallizzati su posizioni rigidissime e contrapposti l’uno all’altro. Tra il 1944 e il 1949, la Grecia sperimentò sul proprio corpo, già martoriato dalla seconda guerra mondiale, una disputa cruenta, scatenata da un movimento comunista che, sebbene nettamente minoritario a livello popolare, si distinse non solo per caparbietà combattiva, ma anche per un massimalismo così radicale e dogmatico da indurlo a commettere una serie di atrocità che finirono per fargli perdere anche quella parte di consenso che riscosse, seppur per brevi periodi, soprattutto nelle aree montuose e più depresse della Macedonia e dell’Epiro.


il libro può essere richiesto direttamente alle Edizioni Settimo Sigillo


per tornare in copertina, clicca qui

Don Beniamino di Martino - NOTE SULLA PROPRIETA' PRIVATA - Nicola Longobardi Editore, 2009, pp. 143, € 13


La cultura cristiana rifiuta ogni genere di pauperismo (che non sia la libera scelta francescana) e di lotta alla proprietà privata. Anzi, ritiene che la difesa della proprietà sia necessaria per assicurare la libertà degli individui e, soprattutto, delle famiglie. In questo breve, ma molto denso saggio, don Beniamino Di Martino, già membro del comitato etico della principale ASL campana e docente di Dottrina Sociale della Chiesa dell’ISSR di Castellammare, nonché, soprattutto, stimatissimo parroco e creatore del sito StoriaLibera.it, uno dei siti religiosi più seguiti, affronta le problematiche relative a una visione cristiana del diritto di proprietà.

Un tema tutt’altro che sorpassato, se in Italia esiste ancora chi, come Bertinotti nel 2006, sostiene anche in campagna elettorale, l’abolizione della proprietà privata e, a urne aperte, si vede premiato dal 10% dei voti e quindi addirittura dello scranno della terza carica dello Stato! Eppure la ragione ci dice che attaccare la proprietà come causa dell’infelicità sociale è come togliere a qualcuno il cappotto sostenendo che sia la causa del freddo altrui… L’autore cita i principali autori che hanno affrontato il problema del marxismo individuandone le origini rivoluzionarie, da Toqueville a Gaxotte, da von Hayek a Goldwater, dalla Rerum novarum alle opere dei dissidenti sovietici, sintetizzando il giudizio della Chiesa – e quindi della ragione – sulle utopie (purtroppo troppo spesso tentate) comuniste di ogni tempo e luogo.

Il libro si avvale di due saggi del pensatore di orientamento libertario Carlo Lottieri e del giornalista Guglielmo Piombini.

(da Radici Cristiane)

il libro può essere richiesto direttamente a Theseus Libri


per tornare in copertina, clicca qui

Marco Ferrazzoli - NON SOLO DON CAMILLO - l'intellettuale civile Giovannino Guareschi - Edizioni L'uomo Libero, 2008


Secondo Indro Montanelli la storia del XX secolo «la si può fare senza chiunque altro ma non senza Guareschi». Non è un’esagerazione, anche solo ricordando gli episodi più importanti della vita e dell’opera di questo scrittore.

Già nella prima metà del ‘900 Giovannino Guareschi è un celebre giornalista del Bertoldo. Nel 1943 viene deportato nei lager nazisti, divenendo una figura di spicco della “resistenza bianca”. Al rientro fonda e dirige il Candido, il maggior settimanale politico-satirico del dopoguerra. Nel ’46 sostiene la monarchia al referendum istituzionale. Fornisce un contributo essenziale alla vittoria democristiana nelle elezioni del 1948 con i famosi manifesti «Nell’urna Dio ti vede, Stalin no» e «Mamma votagli contro anche per me». Diviene un importante opinion-leader, uno dei più feroci fustigatori del partitismo e il principale polemista anti-comunista. Nel ’53 finisce in carcere per diffamazione di Einaudi e De Gasperi.

Già questa sommaria lettura della sua biografia dimostra come l’autore di Don Camillo sia stato uno dei più importanti intellettuali civili italiani del ‘900. Naturalmente, ci sono anche i libri del Mondo piccolo e molti altri: venduti e tradotti in milioni di copie, hanno ispirato film ancor oggi di grande audience. Ma, forse, a questo successo si deve un paradossale fraintendimento: l’edulcorazione dell’importanza storica e culturale di Guareschi e la sottovalutazione della sua statura morale. Un rischio che egli corre a causa sia dei “nemici” ansiosi di minimizzarne l’importanza, sia di taluni “amici” che sembrano confermarne l’immagine debole.

Guareschi è invece un autore centrale della nostra letteratura, un giornalista politico fondamentale e un raro esempio di coerenza umana e intellettuale.


MARCO FERRAZZOLI. Giornalista professionista, capo ufficio stampa del Consiglio nazionale delle ricerche. Ha lavorato tra gli altri al quotidiano Libero, Lo Stato settimanale, l'Italia settimanale, Il Borghese, Tg2-Costume e società, Rai Radiodue 31-31. Collabora con Il Giornale di San Patrignano. Laureato in Lettere, ha conseguito un master in Psicologia di consultazione. Ha tenuto docenze e lezioni presso Università e altre strutture di formazione. E’ autore dei saggi: Padania, Italia (1997-2008); Giubilando giubilando (2000); Cos’è la destra (2001); Guareschi l’eretico della risata (2001). Ha ricevuto i premi Sulmona 1996, Torre di Castruccio 1998, Capitolium 2001, Assovetro 2001, Luciano Cirri 2008.

il libro può essere richiesto direttamente a Edizioni L'Uomo Libero


per tornare in copertina, clicca qui

Luciano Salera - LA STORIA MANIPOLATA, 1860-61, documenti e testimonianze - Edizioni Controcorrente, 2009 - pagg. 320, euro 20,00


Luciano Salera raccoglie, commentandoli ampiamente, documenti – poco o per niente noti – che gettano nuova luce sulle vicende finali del Regno delle Due Sicilie e sugli uomini che ne furono protagonisti. La lettura di questi testi farà capire una volta per tutte come sono veramente andate le cose e quali sono state le vere cause della perdita dell'indipendenza di Napoli e del Sud. Le ferite sono ancora aperte, perché molti degli storici “ufficiali” continuano a falsificare o nascondere le carte, a chiamare “patrioti” i traditori, a definire “liberazione” quella che è stata un'invasione, una conquista che mise a sacco e a fuoco tutto il Sud, una brutale colonizzazione.

"L'esercito Garibaldino, lurido, bieco, famelico, disordinato, male armato peggio vestito, entra nella città. A siffatti nuovissimi vincitori s'aprono i castelli, le reggie, gli arsenali, i porti e le casse. La flotta, quella flotta che tanto era costata, si dava da' suoi comandanti alla rivoluzione. Ogni cosa è di questi, usciti da tutte le parti del mondo, ignoti l'uno all'altro, calpestatori d'ogni diritto, ignoranti di ogni legge. Si spandono per le case, pe' paesi e per le ville; sono padroni di tutto, derubatori di ogni arnese, calpestatori di ogni monumento insultatori d'ogni grandezza. Napoli che i Vandali mai non vide, vide i Garibaldini."

Giacinto de' Sivo

Prefazione di Gabriele Marzocco

Introduzione di Edoardo Vitale


LUCIANO SALERA è nato a Napoli; laureato in economia e commercio, ha sempre coltivato una forte passione per la storia di Napoli e del Mezzogiorno, con particolare attenzione alle vicende del Regno delle Due Sicilie. Ha già pubblicato per i tipi di ControcorrenteGaribaldi, Fauché e i predatori del Regno del Sud - La vera storia dei piroscafi “Piemonte” e “Lombardo” nella spedizione dei Mille.


il libro può essere richiesto direttamente a Edizioni ControCorrente


per tornare in copertina, clicca qui


EVOLUZIONISMO, IL TRAMONTO DI UNA IPOTESI, a cura di Roberto de Mattei - Cantagalli Editore, 2009 - pagine 260, euro 17,00


Evoluzionismo: una ipotesi dogmatica

In occasione del bicentenario della nascita di Darwin e a centocinquant’anni dalla prima pubblicazione dell’Origine delle specie, alcuni autorevoli studiosi di diverse appartenenze culturali e disciplinari si sono confrontati sulla fortuna delle teorie darwiniane, mettendone in luce le diverse criticità.

Dai loro contributi è nato il libro Evoluzionismo: il tramonto di un’ipotesi, a cura di Roberto de Mattei. Il volume, che è stato presentato a Roma, all’Hotel Columbus (via della Conciliazione, 33), il 6 novembre alle ore 18, raccoglie gli atti di un convegno svoltosi di recente a Roma per iniziativa della Vice Presidenza del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Da queste pagine l’evoluzionismo emerge come una teoria scientifica e filosofica, due aspetti che si sostengono a vicenda, incapace però di rispondere ad alcune questioni basilari riguardanti l’origine della vita e il mistero dell’esistenza umana.

L’evoluzionismo appare inoltre come una “cosmogonia” che pretende di descrivere la storia del mondo partendo da postulati scientifici inverificabili, una dottrina spesso imposta come un “dogma”, che invece dovrebbe essere sottoposta al rigoroso vaglio della critica nazionale e scientifica, attraverso un libero confronto tra gli studiosi.

Gli autori del volume sono: Guy Berthault, paleontologo, membro dell’Associazione Internazionale dei Sedimentologi (Francia); Roberto de Mattei, storico, professore all’Università Europea di Roma e Vice Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche; Jean de Pontcharra, fisico, ricercatore in nano-elettronica all’Università di Grenoble (Francia); Maciej Giertych, genetista, membro dell’Accademia Polacca delle Scienze e, fino al 2009, deputato del Parlamento Europeo (Polonia); Josef Holzschuh, fisico, ricercatore di geofisica alla University of Western Australia; Hugh Miller, chimico, dottorato alla Ohio State University, Columbus, Oh (USA); Hugh Owen, scrittore, presidente del Kolbe Center negli Stati Uniti; Pierre Rabischong, biologo, professore emerito dell’Università di Montpellier, già Direttore dell’unità di ricerca in biomeccanica dell’INSERM e decano della Facoltà di Medicina (Francia); Josef Seifert, filosofo, rettore dell’International Academy for Philosophy del Liechtenstein, membro della Pontificia Accademia della Vita (Germania); Thomas Seiler, fisico, dottorato in fisico-chimica all’Università di Monaco, ingegnere per i sensori elettrochimici nel Dipartimento Innovazione della Robert Bosch GmbH (Germania); Dominique Tassot, Direttore del Centre d’Etudes et de Prospectives sur la Science (Francia); Alma von Stockhausen, filosofo, presidente della Gustav-Siewerth-Akademie (Germania).


Per informazioni: tel. 06-32 33 370 – info@famigliadomani.it


il libro può anche essere richiesto direttamente all'Editore Cantagalli


per tornare in copertina, clicca qui

Luciano Garibaldi - O LA CROCE O LA SVASTICA - Edizioni Lindau, 2009, pagg.199 - euro 16,50


La vera storia dei rapporti tra la Chiesa e il Nazismo

1 febbraio 1933: Hitler va al potere e s’impegna a «proteggere fermamente il Cristianesimo». Ma, ben presto, l’assassinio del presidente dell’Azione Cattolica di Berlino segna l’inizio di una autentica persecuzione: chiusura delle scuole cattoliche, soppressione della stampa confessionale, arresto dei suoi direttori, ondata di processi-farsa contro il clero. La Chiesa reagisce con fermezza: dopo ben 70 note di protesta scritte da Eugenio Pacelli, Segretario di Stato e futuro Papa Pio XII, e la definitiva condanna pronunciata dai vescovi tedeschi nei confronti del «neopaganesimo del sangue e della razza», il Vaticano lancia contro il Nazismo l’enciclica «Mit brennender Sorge». Non è che l’inizio di una sfida senza equivoci che si concluderà con il sacrificio di quattromila sacerdoti e religiosi cattolici.

Con il suo nuovo libro «O la Croce o la Svastica», edito da Lindau (www.lindau.it), 200 pagine, 16,50 euro, Luciano Garibaldi, noto divulgatore storico, autore di oltre trenta libri dedicati alla storia del Novecento, alcuni dei quali tradotti in varie lingue, racconta la vera storia dei rapporti tra la Chiesa e il Nazismo chiudendo definitivamente la disputa sui presunti silenzi di Pio XII. A favore del quale l’Autore schiera prove inequivocabili come un rapporto segreto di Reinhard Heydrich – il promotore della «soluzione finale del problema ebraico» - nel quale Papa Pacelli viene definito «schierato a favore degli ebrei, nemico mortale della Germania e complice delle potenze occidentali», e come una sensazionale testimonianza del Generale Karl Wolff, il comandante delle SS in Italia, che ricevette da Hitler l’ordine di arrestare Pio XII e trasferirlo in Liechtenstein. Con l’avvincente racconto di come Wolff riuscì a vanificare quel progetto.

Non meno appassionante il capitolo che Luciano Garibaldi (già autore del libro di successo «Operazione Walkiria. Hitler deve morire») dedica ai due enigmi che ancora avvolgono la vicenda di Von Stauffenberg, l’ufficiale che il 20 luglio 1944 tentò di uccidere il Führer: se cioè sia vero che il colonnello, fervente cattolico, prima di collocare la bomba si confessò dal vescovo di Berlino, ne ottenne l’assoluzione e si comunicò; e se si possa affermare che il Vaticano venne preventivamente informato dell’attentato.

L’ampia panoramica su una pagina di storia che continua ad essere di stretta attualità è completata da tre capitoli dedicati, nell’ordine: alle donne tedesche che si batterono per la fede e la carità contro l’antisemitismo nazista; ai non pochi ebrei, anche famosi, scesi in campo in difesa di Pio XII, un Papa ingiustamente diffamato; ed anche, per una informazione completa ed obiettiva, ai sacerdoti e monsignori che si schierarono a fianco di Hitler.

Dieci capitoli, dunque, che si leggono come un romanzo, grazie anche al noto ed apprezzato stile narrativo di Luciano Garibaldi che, prima di diventare un divulgatore storico, è stato per molti anni un giornalista di lungo corso.


il libro può essere richiesto direttamente alle Edizioni Lindau


per tornare in copertina, clicca qui

Guido Vignelli - SAN FRANCESCO ANTIMODERNO - Fede e Cultura, 2009


La verità su San Francesco per confutare lo “spirito di Assisi”

di Piero Vassallo

Nell’ambiente costituito dagli studiosi cattolici, che s’ispirano alla dottrina controrivoluzionaria di Plinio Correa de Oliveira, Guido Vignelli primeggia per il singolare acume, la mai vana erudizione e il garbato senso dell’umorismo.

La conferma delle invidiabili qualità di Vignelli si trova nel pregevole saggio “San Francesco antimoderno”, un testo agile benché sostenuto da un apparato bibliografico ingente che è pubblicato nella collana “Lepanto” dalla casa editrice Fede k Cultura di Verona, in occasione dell’ottavo centenario dell’Ordine francescano.

Secondo Fabio Bernabei, l’autore dell’introduzione, la finalità del saggio è rammentare ai cattolici “adulti”, variamente disinformati, cioè fuorviati dalla scuola bolognese o tarantolati dalle scolastiche tardo-sessantottine, che “il più santo degl’Italiani e il più italiano dei santi” ha assegnato ai suoi compatrioti la missione di vivere nell’intransigente zelo per la gloria di Dio e nella generosa dedizione alla Chiesa cattolica.

Negli anni tormentati del postconcilio, uno sciame di giornalisti teologizzanti e di teologi appiattiti sul giornalismo, ha, infatti, deformato la biografia del Serafico, fino ad abbassarla a quella figura “melensa, smidollata, imbelle, remissiva e permissiva”, che è presa a modello pseudo profetico dai cristiani che l’effervescente spirito di Assisi ha istigato al pellegrinaggio nelle paludi dell’errore moderno.

Il compito di cui Vignelli si è fatto carico non era certamente dei più facili, data l’ sterminata mole della biblioteca francescana e, sopra tutto, dato l’incontrastato potere esercitato dai paroliberieri progressisti, che leggono obliquamente e sentenziano in acrobazia. Dai pulpiti prestigiosi che sono allestiti su mandato di poteri forti nell’avversione alla verità cattolica.

Per abbattere la selvaggia e gongolante foresta di favole piantate intorno alle presunte anticipazioni francescane del modernismo, del socialismo, del pacifismo, del contraffatto ecumenismo, del pauperismo, dell’ecologismo, del nudismo e dell’anticlericalismo era necessaria oltre la sgradevole lettura della torrentizia letteratura conformista, una conoscenza puntuale degli scritti di San Francesco, delle numerose testimonianze sulla sua vita e sulla sua dottrina, degli insegnamenti del magistero romano in materia e dei saggi degli autori probati.

Una fatica enorme, che Vignelli ha sostenuto per dare una solida base scientifica alle tesi esposte nel saggio i questione.

La pubblicazione di un saggio tanto documentato quanto accessibile al lettore medio è un colpo indirizzato alla vulgata cattoprogressista e andato a segno grazie all’uso elegante e umile dell’erudizione.

Vignelli ha ottenuto questo brillante risultato perché la sua vita e la sua cultura sono indenni dalla spocchia e dalla pedanteria accademica. E’ dunque auspicabile che il suo saggio abbia la vasta diffusione che merita un così importante contributo alla restaurazione ultimamente in atto del pensiero cattolico.


il libro può essere richiesto direttamente alla Casa Editrice Fede e Cultura


per tornare in copertina, clicca qui


Alberto Rosselli - LA RESISTENZA ANTISOVIETICA E ANTICOMUNISTA IN EUROPA ORIENTALE 1944-1956 - Edizioni Settimo Sigillo, 2004


Quello della lotta armata contro le dittature facenti capo a Mosca è stato un fenomeno sostanzialmente negletto, anche perché i regimi marxisti hanno provveduto con successo ad occultarne e minimizzarne la portata, attribuendone l’origine non tanto alla oggettiva violenza e impopolarità del sistema socio-economico comunista, ma alla supposta matrice reazionaria dei vari movimenti ribelli e alla concomitante azione destabilizzatrice esercitata su questi ultimi dalle potenze occidentali interessate a minare l’integrità e la solidità del mondo socialista. Abbiamo dovuto attendere il definitivo collasso del sistema sovietico per venire a conoscenza di questi fenomeni che hanno interessato non solo i Paesi Baltici, l’Ucraina, la Romania e la Polonia, ma anche alcuni paesi balcanici come la Iugoslavia e l’Albania.


il libro può essere richiesto direttamente all'Editore Settimo Sigillo


per tornare in copertina, clicca qui

Carlo Angelino - L'ESSERE E/O IL MALE - Il penisero antitetico - edizioni Il Nuovo Melangolo, 2009


Dopo l’illuminismo la metafisica

di Piero Vassallo

Dopo le riflessioni di Horckheimer e Adorno sui catastrofici risultati dell’illuminismo è ancora possibile sviluppare un pensiero a parte hominis? E’ possibile mettersi al seguito di Carlo Angelino (autore di un sottile e avvincente saggio, “L’Essere e/o il Male”, edito in Genova dal Melangolo) e “cercare di affrontare, nei limiti delle possibilità inerenti la ragione finita dell’uomo” i problemi posti dalla “constatazione che l’inclinazione al male ha prevalso nell’uomo sull’inclinazione al bene”?

Angelino (in sintonia con la scuola heideggeriana, che nell’università di Genova è stata autorevolmente interpretata da Alberto Caracciolo) afferma il definitivo tramonto della metafisica classica e perciò esclude la possibilità di fare un passo indietro, dall’illuminismo alla filosofia di San Tommaso d’Aquino.

Se non che la filosofia di Kant è sepolta sotto la slavina francofortese e la ragione deve congedarla se vuole proseguire il suo cammino sulla via di ricerca. Aderire a Kant dopo la demolizione francofortese è impossibile. La vacillante fedeltà kantiana di Angelino, coerentemente, afferma un principio che difficilmente Kant avrebbe sottoscritto: “la ragione umana è obbligata a pensare Dio come fondamento incondizionato e perciò assoluto di tutte le cose, ed è anche in condizione di darne una definizione concettuale in sé esaustiva”.

Un illuminista non avrebbe mai detto che l’ateismo contrasta le verità di ragione. D’altra parte il pensiero è legato alla croce dei sensi, che ad ogni costo vogliono esplorare il continente divino, dimensione che il pensiero ha raggiunto avanzando sulle ali dell’invisibile.

L’obiezione antimetafisica riemerge dalla sepolta filosofia di Kant. Scrive Angelino: “nel momento in cui la ragione cerca di verificare se a siffatto ideale trascendentale corrisponde un oggetto nel dominio dell’esperienza sensibile e perciò della conoscenza dell’intelletto, viene a trovarsi sul ciglio di un abisso senza fine”.

La vista ha esigenze che la ragione non può soddisfare. Ma la ragione è costretta ad avanzare negli invisibili quartieri della verità. Come recita un proverbio tanto demodé quanto vero la ragione che si ferma è perduta. La conoscenza deve incominciare dal dato ai sensi, ma per proseguire deve affrontare l’invisibile. Fermarsi significa naufragare nel relativismo e negli incubi intorno al non senso della vita.

Se non che la debolezza della filosofia kantiana è nascosta nel pregiudizio sensista, un trabocchetto scavato dal sensismo inglese, che costringeva il pensiero a far retrocedere la nozione legittimamente astratta al livello delle cose visibili.

Il vischioso residuo della filosofia sensista costringeva Kant a credere che per accertare 7+5=12 non fosse sufficiente applicare la nozione di somma matematica, ma occorresse rinculare ad una rappresentazione sensibile, ad un pallottoliere capace di rendere visibile il risultato della somma. Se non che il pallottoliere è di Kant è ritagliato in una stoffa che non permette l’avanzamento della matematica. I neoscolastici hanno, infatti, dimostrato che, quando si facesse dipendere ogni progresso della matematica dalla conferma data da una rappresentazione sensibile, da un pallottoliere, non si potrebbero più sommare i numeri che sfuggono alla presa dei nostri sensi, ad esempio 3123 e 4875.

La filosofia non può arrestarsi alla legge del pallottoliere. Il pallottoliere è una pietra al collo della filosofia. L’abisso di cui parla Angelino si apre quando prevale il desiderio di vedere l’invisibile con gli occhi creati per vedere il visibile.

La metafisica, pertanto, ricomincia dopo che la ragione ha rimosso il pallottoliere di Kant. Rinasce come sfida alla tirannia sensista e come insopprimibile conquista della ragione.

Angelino, tuttavia, non ha torto quando sostiene la necessità di abbandonare la via di Parmenide per imboccare la via di ricerca della sapienza ebraica. La sapienza ebraica, infatti, ha indicato ai filosofi la via d’uscita dal pensiero greco dimostrando che la tautologia di Parmenide, l’idea che l’analisi del concetto di essere impedisce il raggiungimento della verità sull’origine del mondo. La filosofia che si è elevata al pensiero di Dio come fondamento incondizionato e perciò assoluto di tutte le cose, ha origine dalla sfida “ebraica” all’immanentismo teorizzato da Parmenide e confermato da tutta la sua discendenza.

La filosofia greca non è mai uscita dall’immobilizzante cerchio di Parmenide, dove “l’essere è ingenerato e indistruttibile esso è infatti un tutto nella sua struttura, immobile, privo di fine temporale, perché non sarà un tutto di parti unite ma è soltanto nella sua natura un tutto”.

La metafisica ebraica, affermando che l’Essere perfettissimo è Dio e non l’universo dei panteisti, ha abbattuto l’ostacolo del pensiero greco, sciogliendo l’incantesimo dell’assoluto immanente.

Scrive al proposito Cornelio Fabro: “Affermare che l'essere diviene e che il divenire ha realtà di essere, che il molteplice ha la verità dell'es­sere ovvero che la causalità ha una propria verità di essere, non può essere rivendicato analiticamente co­me attributo dell'Essere stesso: in tutti i modi la causalità così come la molteplicità è una novità, un'aggiunta rispetto all'Essere che si fa presente come Uno, così che l'appartenenza della causalità all'essere sembra doversi fondare altrove che nell'essere stesso”.

Angelino, peraltro, mette il lettore davanti alla difficoltà costituita dall’inesistenza, nel mondo d’oggi, di un pensiero che non sia in qualche modo impastato di ebraismo, cioè di certezze intorno alla trascendenza dell’Essere perfettissimo.

Indiscutibile è la radice ebraica di Cristianesimo e Islamismo. Ma nessuno può negare il paradosso rappresentato della radice ebraica delle ideologie anti-ebraiche in circolazione: il comunismo (concepito da Marx quale strumento necessario all’abolizione dell’alienante religione ebraica), la psicoanalisi freudiana (che contemplava l’avversione al monoteismo dell’egiziano Mosé), e la gnosi francofortese (concepita da Walter Benjamin quale antitesi alla teologia dell’Antico Testamento). Hanno radice nella cultura biblica anche le minoranze costituite in Israele dagli ebrei messianici, che riconoscono in Gesù Cristo il Messia promesso. Estraneo all’ebraismo non fu neppure l’ideologia nazista, che (lo ha dimostrato Jacob Taubes) aveva fondamento in un’avversione all’Antico Testamento largamente condivisa in ambienti ebraici. Estranee all’ebraismo rimangono solo le religioni dei primitivi e l’induismo, ma i loro fedeli ormai sono costretti a fare i conti con l’Occidente ebraicizzato. Non hanno torto dunque i teologi che nella centralità del problema costituito dal conflitto che oppone le diverse correnti della cultura ebraica vedono un segno apocalittico.

A dispetto dei laicisti ostinati e smaccati, la scena culturale contemporanea rappresenta il conflitto tra le affermazioni e le negazioni della teologia ebraica. In campo filosofico questo conflitto si traduce nell’opposizione tra la metafisica e il nichilismo, tra San Tommaso e i decadenti. Tra la ragione e la chiacchiera disperata degli atei.


il libro può essere richiesto direttamente a Editore il Nuovo Melangolo


per tornare in copertina, clicca qui

Padre Giovanni Cavalcoli - KARL RAHNER, IL CONCILIO TRADITO - Fede e Cultura, 2009


Un saggio di padre Cavalcoli su Rahner - Il Vaticano II tradito dai teologi

di Piero Vassallo

Nel 1985 fu pubblicato “Rapporto sulla fede”, un libro-intervista di Vittorio Messori al cardinale Joseph Ratzinger, oggi leggibile quale anticipazione del programma di Benedetto XVI. Il cardinale, infatti, formulava alcuni degli argomenti indeclinabili, che oggi raccomandano l’interpretazione del Vaticano II alla luce di un’ermeneutica della continuità.

Nel corso dell’intervista l’allora prefetto dell’ex Sant’Uffizio denunciava il “falso spirito del concilio”, e smentiva i commentatori avventurosi, che, forzando i testi del Vaticano II, vi leggevano l’approvazione e l’incoraggiamento ai teologi della discontinuità, che, in quegli anni precipitosi, erano affaccendati a rivedere e ad aggiornare la tradizionale dottrina della Chiesa cattolica nella luce di un immaginario insegnamento conciliare.

Fondatore della nuova e spericolata teologia, era stato il gesuita Karl Rahner, un autore confutato da Cornelio Fabro nel 1974 e fermamente contestato da Joseph Ratzinger, in articoli e saggi pubblicati nel 1978 e nel 1982.

Influenzato dalla filosofia immanentistica di Hegel, cui lo aveva iniziato Martin Heidegger, Rahner riteneva che la via modernorum fosse senza ritorno e, di conseguenza, progettava il dirottamento della teologia cattolica su di essa.

La prima mossa di Rahner sulla via modernorum fu l’attenuazione buonista della legge, che stabilisce la reciproca incompatibilità del vero e del falso.

Per i seguaci di Rahner, “buono” diventò il qualunque pensatore impegnato a scongiurare i conflitti causati (si presumeva) dalla convinzione che si danno princìpi tra loro irriducibili.

Padre Giovanni Cavalcoli o. p., l’autore del saggio sulla teologia di Karl Rahner, edito dalla veronese Fede & Cultura, rammenta che, in seguito alla predicazione di Rahner, nella Chiesa cattolica si è diffusa la convinzione che “Il voler distinguere con assolutezza il vero dal falso sembra a molti espressione di presunzione e di intolleranza, sorgente di discordia e mancanza di rispetto per le idee e la coscienza degli altri. Il concetto stesso di una religione assolutamente vera che primeggi sulle altre appare a molti una pretesa imperialistica di questa sulle altre religioni” (“Karl Rahner Il Concilio tradito”, pag. 16).

Il pregiudizio buonista esige, pro bono pacis, che si metta in parentesi l’oggetto della verità in sé, e si condivida il paradosso relativista-irenista secondo cui un’affermazione vera dal punto di vista di chi la pronuncia, è vera anche dal punto di vista di chi dichiara l’esatto contrario.

Soggiacente alla flessibile misericordia, che comanda il sacrificio della verità sull’altare dell’armonia ad ogni costo, è la sentenza del guru sessantottino Herbert Marcuse, che (nel saggio “Eros e civiltà”) ha definito fascista il principio di non contraddizione, secondo cui un’affermazione non può essere vera e falsa nello stesso tempo e sotto il medesimo profilo.

Va da sé che il contrasto tra l’intollerante verità e la pace nella menzogna è un argomento sofistico, inventato dai filosofi ultramoderni di scuola heideggeriana e/o francofortese per nascondere la decisione di aggirare i princìpi indeclinabili della logica, princìpi che (a loro avviso) non sono iscritti e leggibili nella realtà ma imposti dal fascismo orrido e immenso.

La ricerca dei possibili ispiratori dell’avversione alla verità, non incontra gli apostoli della pace secondo Cristo, ma il maestro di Karl Rahner, l’astruso Martin Heidegger, autore dello stravolgente principio secondo cui “la verità non sta nel giudizio col quale l’uomo adegua il suo pensiero all’essere, ma sta nella comprensione atematica, nell’esperienza trascendentale, come situazione esistenziale emotiva del soggetto auto-cosciente, nel quale l’essere si identifica con l’essere pensato, in modo tale che la verità del pensiero è al contempo la verità dell’essere e la verità del soggetto”.

Heidegger e al suo seguito Rahner vantavano l’appartenenza alla più alta e aggiornata tradizione metafisica. In realtà il loro pensiero, avendo accolto gli errori della logica kantiana ed hegeliana, approda a risultati non molto diversi da quelli ottenuti da Jean Paul Sartre e da Claude Levy Strauss, autori di disperate chiacchiere antimetafisiche, finalizzate all’abbassamento dell’intelletto umano al livello della sensazione animalesca.

Svilimento della ragione umana e retrocessione dell’immanentismo moderno al panteismo antico costituiscono l’orizzonte ultimo del pensiero heideggeriano e rahneriano.

Ridotto la filosofia ad universale esperienza emotiva, l’errore , la non adeguazione dell’intelletto alla realtà, sprofonda in un cappello a cilindro: di qui l’opinione temeraria (affermata da Rahner) che tutti conoscano la verità attraverso la c. d. esperienza trascendentale.

Rahner sostiene che la concordia inizia dal riconoscimento che tutti gli uomini posseggono la verità e nessuno sbaglia. E propone la tesi che attribuisce agli atei la qualifica di cristiani anonimi, che in quanto tali sono naturalmente destinati alla beatitudine eterna.

Per attingere un tale pensiero Rahner è costretto a condividere il disconoscimento modernista della dottrina cattolica sulla grazia. La grazia, pertanto diventa “la natura-grazia che è sufficiente ad assicurare la felicità e la divinizzazione dell’uomo”.

Oscurata la nozione della grazia la trascendenza divina evapora. Rahner “finisce nel vedere nel soprannaturale niente più che uno sviluppo totale e finale del naturale o un approfondimento di quest’ultimo, come se l’uomo elevandosi al massimo delle sue possibilità potesse diventare Dio”.

Padre Cavalcoli osserva che Rahner cade in un tale errore perché applica il trascendentale alla cristologia: “Ma questo è un fatto grave perché Cristo da mistero di fede diventa un’entità metafisica, un trascendentale, un contenuto apriorico della coscienza trascendentale atematica, un’esigenza strutturale e fisiologica, non liberamente scelta, di ultima pienezza umana, in linea del resto con tutto il pensiero rahneriano, dove il divino e il soprannaturale costituiscono un’esigenza di razionalità e di umanità, che tutti sentono cristiani anonimi) e che in tutti viene soddisfatta” (op. cit. pag. 185)

Come ha dimostrato il cardinale Giuseppe Siri nel saggio “Getsemani Riflessioni sul movimento teologico contemporaneo”, la teologia di Rahner vuole convincere il lettore che “Dio e l’uomo hanno la stessa essenza”. Una conclusione catastrofica che affonda la fede cattolica nella disperata filosofia di Heidegger, dove Dio e l’uomo circolano eternamente intorno all’essere per il nulla.

Il sottotitolo del saggio di padre Cavalcoli (“Il Concilio tradito”) manifesta l’opinione dell’autore sull’influsso dell’antropologia rahneriana (confutata secondo una linea di pensiero che tiene conto e approfondisce le ragioni esposte nel saggio “La svolta antropologica di Karl Rahner”, scritto da padre Cornelio Fabro, nei primi anni Settanta) nelle esorbitanze ecumeniche elucubrate in nome di un presunto “spirito del concilio Vaticano II”.

Non solo nelle stravaganze postconciliari: padre Cavalcoli, infatti, facendo propria e sviluppando una tesi di monsignor Brunero Gherardini, dimostra che il buonismo di Rahner si è insinuato di soppiatto nei testi conciliari, ad esempio nella traduzione italiana della Gaudium et Spes, che invita ad un esame più serio e profondo delle ragioni che si nascondono nella mente degli atei, quasi che esistano delle serie ragioni per essere atei.

Di qui l’auspicio, formulato nella magnifica conclusione, che il Magistero della Chiesa sconfessi apertamente la finzione buonista e “metta in luce con chiarezza quali sono le dottrine nuove del Concilio, non secondo un’esegesi di rottura, ma come esplicazione della Tradizione, lasciando così una giusta libertà di critica nei confronti invece di quelle disposizioni pastorali che sembrano o si sono verificate meno opportune e magari rivedibili o abrogabili per assicurare e promuovere il bene e il progresso della Chiesa nella Verità” (op. cit., pag. 345).

Senza ombra di dubbio l’auspicio di padre Cavalcoli corre incontro alle sapienti intenzioni di Benedetto XVI, oltre che alle speranze di tutti i credenti. La lettura del suo pregevole saggio, pertanto, è raccomandata a quanti hanno a cuore il vero bene della Chiesa cattolica.


il libro può essere richiesto direttamente alla Casa Editrice Fede e Cultura


per tornare in copertina, CLICCA QUI