Paolo Mariani - L'ACCADEMIA E LA LOGGIA, Rivoluzione e massoneria alle origini dell'Italia moderna - Ed. Il Cerchio, 2007 - pagg. 122, euro 14,00


Risorgimento italiano e risorgimento massonico



di Piero Vassallo


La necessità inderogabile di attuare l’unità politica sul fondamento dall’unità spirituale degli italiani, si manifestò alla fine del XVIII secolo, quando gli antichi stati della penisola si dimostrarono incapaci di opporre un’efficace resistenza militare all’armata dei cleptomani discesi, sotto il vessillo della fellonia giacobina, dalla Francia affamata dalla rivoluzione.

La strutturale impotenza dei poteri politici fu compensata dalla spontanea, eroica insorgenza dei popoli italiani, i quali, con armi di fortuna e tattiche improvvisate, ostacolarono duramente l’azione dei saccheggiatori francesi.

La funzione provvidenziale degli insorgenti – i Viva Maria – commosse Vittorio Alfieri prima di essere nobilmente esaltata da Giovanni Gentile, il quale, senza esitazione, attribuì alla rivolta popolare il merito di aver destato la consapevolezza dell’obbligo di unificare la politica italiana in vista della resistenza all’invasore.

Le insorgenze antigiacobine hanno rappresentato il cuore antico del futuro italiano. Sono state il primo, nobile atto del vero e purtroppo incompiuto risorgimento italiano.

Una risma di letterati di scuola massonica, Ugo Foscolo, Vincenzo Cuoco, Pietro Colletta, Goffredo Mameli, Luigi Mercantini, Giuseppe Garibaldi, Mario Rapisardi, Giovanni Verga, Luigi Settembrini ecc., quasi anticipando l’azione gramsciana, si affrettò a produrre e diffondere dozzinali poesie, memoriali grondanti, pistolotti retorici, romanzi inverosimili e storie disinformanti, riuscendo nell’impresa di usare la letteratura quale vettore del progetto liberale finalizzato allo snaturamento del patriottismo.

La cattiva letteratura fu l’antefatto e la musica di fondo del risorgimento liberal-massonico, che ebbe il sopravvento sul risorgimento italiano. Gli scritti degli autori di loggia, opere per lo più di bassa qualità, erano tuttavia adatte ad innestare sul corpo sano e ingenuo del patriottismo l’artificiale ostilità verso la fede cristiana, che fu infatti sostituita dalla passione per quella libertà tiranna, che pretendeva di rifondare, sulla base avventizia dell’ideologia democratista, i corpi sociali nati e viventi da secoli senza necessità di suffragi universali e di grotteschi plebisciti.

Gli studiosi di scuola tradizionalista hanno trascurato l’apporto dei poeti e dei narratori al risorgimento massonico, con il risultato di restringere l’indagine storiografica di orientamento revisionista all’esame delle filosofie, dei filosofemi (ad esempio la grottesca produzione del Mazzini) e degli intrighi di palazzo, trascurando lo studio di quella strategia anticattolica e antitaliana che fu attuata dai letterati di servizio.

Uno studioso specializzato in studi letterari, Paolo Mariani, ha finalmente colmato una lacuna proponendo, nel saggio “L’accademia e la loggia”, edito dal Il Cerchio di Rimini, il profilo degli autori che produssero gli inni, le canzonette e le leggende che esaltavano il falso patriottismo ed esaltandolo lo facevano salire sul carro della rivoluzione massonica. Carro di cui il card. Giacomo Biffi ha rivelato la somiglianza con quello condotto dal favoloso Mangiafuoco, ingannatore degli ingenui in cammino verso il paese dei balocchi.

Mariani ricostruisce il progresso compiuto dall’errore massonico attraverso la letteratura affabulatoria prodotta dagli apologeti del falso risorgimento. E opportunamente ha messo descritto i mostriciattoli anticristiani e antitaliani striscianti sotto la pelle del finto patriottismo.

Ad esempio, lo sgangherato delirio gnostico, che strappava all’insicura penna di Giuseppe Garibaldi la definizione della propria anima quale “scintilla vicinissima al nulla, ma pur parte di quel tutto supremo Oh! Si di Dio! Sì! Particella dell’eterno”.

Analogo il grido comicamente panteista ed escatologico alzato dall’infelice Goffredo Mameli: “L’uom si confonde con Dio, e indiato al gran tutto si unisce, si fa l’uom una sola famiglia perché è giunta l’età dell’amor”.

Oggi possiamo dire che Marrazzo ha svelato la natura dell’ecumenico amore raccomandato dalla famiglia letteraria asservita al progressisti del XIX secolo.

Non convincente è invece l’analisi compiuta da Mariani dell’opera di Carlo Goldoni, scrittore che intitolò la propria vita al conformismo ma non fu ossessionato dalle passioni sacrileghe e demenziali nutrite dai protagonisti della letteratura liberal-massonica. Vero è che le sue opere fecero storcere la bocca dei massoni.

La critica di Mariani a un’opera goldoniana quale il “Feudatario”, pungente ma onesta satira del potere esorbitante, sembra addirittura suggerita dagli umori codini di un esteta sudamericano, Gomez Dàvila, che, in ristretti circoli di destra rovente, suscita astratti furori oligarchici.

Salva la riserva sugli sporadici eccessi reazionari, il saggio di Mariani si raccomanda agli studiosi e ai politici intesi ad approfondire le meccaniche della sovversione e dello stordimento mediatico.



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Lodvico Ellena - FREGATI DALLA STORIA - Editore Solfanelli, 2009 - pagg. 224, euro 12,00


Questo volume include dozzine di piccole storie che la storia con la maiuscola dà per sottintese, ma che in realtà non si conoscono affatto o si conoscono in modo approssimativo. Alcuni di questi brani sono stati pubblicati in precedenti volumi, altri come articoli giornalistici, la maggior parte invece vedono in questa sede la luce per la prima volta.
Si tratta di vicende minime, dettagli, sfumature o di fatti poco noti e in qualche caso addirittura colpevolmente ignorati dalla storia ufficiale, quella “politicamente corretta”.
Storia e geografia si intrecciano alle biografie di personaggi della cultura o della politica colti nella loro quotidianità diventando così più “umani”. Luoghi, religioni, cimiteri, simboli, superstizioni, curiosità, riti, mestieri e tragedie ignorate: una miniera di notizie derivate dallo studio di attenti specialisti che nel corso dei decenni hanno consegnato al sapere e alla cultura il frutto delle loro ricerche. Vicende a volte “piccole” che risultano estremamente utili per comprendere ancor meglio il clima culturale di un periodo o lo spirito di un’epoca.
Un libro che aiuterà soprattutto gli studenti, ma non solo loro, a comprendere meglio la storia; un libro utile per integrare la conoscenza e meditare.

Lodovico Ellena è nato a Torino nel 1957, ha viaggiato molto e si è laureato in filosofia a Torino. Ha avuto discreta notorietà con il gruppo neopsichedelico Effervescent Elephants, con l’edizione di vari dischi. È stato vice-preside, poi direttore, in un liceo torinese. Svolge numerose attività politiche e collabora a vari giornali.
Ha pubblicato le seguenti opere: Smacacando un macaco (racconti di umorismo assurdo, Vercelli 1996 ), Non me ne frego più (Menhir, Sanremo 1997), Dove osano le coccinelle (Menhir, Sanremo 1998), Storia della musica psichedelica italiana (Menhir, Sanremo 1998), Neofascisti in bicicletta (Menhir, Sanremo 2000), Una strana storia intorno a un lago (Menhir, Vercelli 2001), Storie comuniste in bianco e nero (Menhir, Sanremo, 2001), Vicoli di storia. Quello che non si trova sui corsi (Menhir, Vercelli 2002), Camerati in cattedra. Mit pistolen (Menhir, Sanremo 2003), Gli elefanti che furono effervescenti (Menhir, Vercelli 2003), Archeologia in pillole (con Walter Camurati, Menhir, Vercelli 2004), La riconquista della posizione eretta (Menhir, Vercelli 2004), La patente europea del fascista (Tabula fati, Chieti 2004), Kulturkampf (Tabula fati, Chieti 2005), Riflessioni sulla storia (Tabula fati, Chieti 2005), Gaudeamus Igitur (Menhir, Vercelli 2005), Le pagine strappate della Resistenza (Tabula fati, Chieti 2006), Ruminando Messalina (Tabula fati, Chieti 2006), Le pagine ritrovate della Resistenza (Tabula fati, Chieti 2007), Educazione cinica (Tabula fati, Chieti 2007), Il Nazismo (Alpha Test, Milano 2007), Misteri (Menhir, Vercelli 2008), La violenza della democrazia (Tabula fati, Chieti 2008), Torino segreta (Menhir, Vercelli 2008), Strade e uomini di Alice Castello (Menhir, Vercelli 2008), Fregati dalla storia (Solfanelli, Chieti 2009) e Ogni alba eredita un tramonto (Menhir, Vercelli 2009).



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Marco Iacona - 1968, LE ORIGINI DELLA CONTESTAZIONE GLOBALE - Edizioni Solfanelli, 2008 - pagg. 160, euro 10,00


Il “vero” Sessantotto (autunno 1967 - primavera 1968) visto da destra. Con le sue luci e le sue ombre. Dopo quarant’anni si discute ancora di questa parentesi storica mai dimenticata che ha segnato per motivi diversi sia la sinistra sia la destra del nostro Paese (quest’ultima, a causa della “contestazione globale” soffre oggi di un senso di colpa in più).
Un Sessantotto preceduto da eventi storici di enorme portata: la guerra nel Vietnam, la rivoluzione cubana, la rivoluzione culturale in Cina e poi ancora la decolonizzazione, il golpe militare in Grecia e la morte di Che Guevara in Bolivia.

In questo libro vengono comparate due diverse letture del Sessantotto: quella del Sessantotto “di lungo periodo” che considera gli eventi principali verificatisi lungo l’intero arco degli anni Sessanta e l’altra che guarda ai problemi del mondo universitario italiano come cause dirette delle rivolte studentesche dell’anno accademico 1967-68.

Marco Iacona è Dottore di ricerca in Pensiero politico e istituzioni nelle società mediterranee, scrive tra l’altro per il bimestrale “Nuova storia contemporanea” e il quotidiano “Secolo d’Italia” per il quale nel 2006 ha pubblicato una storia del Msi in dodici puntate. Ha curato saggi per le Edizioni di Ar, per Controcorrente edizioni e per le Edizioni Mediterranee.
Ha pubblicato
1968. Le origini della contestazione globale (Solfanelli, Chieti 2008) e Il Maestro della Tradizione (Controcorrente, Napoli 2008).

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Roberto De Mattei - LA DITTATURA DEL RELATIVISMO - Edizioni Solfanelli, 2007 - pagg. 128, euro 9,00


Il grande dibattito del nostro tempo, secondo Roberto de Mattei, non è di natura politica od economica, ma culturale, morale e, in ultima analisi, religiosa. Si tratta del conflitto tra due visioni del mondo: quella di chi crede nell’esistenza di principi e di valori immutabili, iscritti da Dio nella natura dell’uomo, e quella di chi ritiene che nulla esista di stabile e di permanente, ma tutto sia relativo ai tempi, ai luoghi, alle circostanze. Se però non esistono valori assoluti e diritti oggettivi, la volontà di potenza dell’individuo e dei gruppi diventa l’unica legge della società e si costituisce quella che Benedetto XVI ha definito la “dittatura del relativismo”.
La denuncia della minaccia relativista è il filo conduttore di queste pagine, che raccolgono scritti e interventi dell’autore svolti tra il 2005 e il 2007. L’opposizione alla dittatura del relativismo, che oggi si esprime attraverso il terrorismo psicologico e la repressione giudiziaria, passa attraverso la riscoperta di quella legge naturale e divina che ha costituito il fondamento della Civiltà cristiana, formatasi nel Medioevo in Europa e da qui diffusasi nel mondo intero.
Il pensiero cui questo libro si ispira è quello della
Philosophia perennis, integrata dal Magistero tradizionale della Chiesa, ma anche dall’insegnamento dei grandi autori contro-rivoluzionari cattolici dell’Ottocento e del Novecento, di cui l’autore è, in Italia, erede e continuatore.



Roberto de Mattei (Roma, 1948) è Professore di Storia Moderna all’Università di Cassino e insegna Storia del Cristianesimo e della Chiesa presso l’Università Europea di Roma, dove è coordinatore del corso di laurea in Scienze storiche.
Giornalista e scrittore, difende i principi e le istituzioni della Civiltà cristiana su numerose pubblicazioni come “Radici Cristiane”, “Lepanto”, “Corrispondenza romana”, “Famiglia Domani Flash” e “Nova Historica”.
Tra i suoi ultimi libri:
Pio IX (Casale Monferrato 2000, tradotto in portoghese e inglese); La sovranità necessaria(Roma 2001, tradotto in francese, spagnolo e portoghese);Guerra santa. Guerra giusta (Casale Monferrato 2002, tradotto in portoghese e inglese); La Biblioteca delle Amicizie(Napoli 2005); De Europa. Tra radici cristiane e sogni postmoderni (Firenze 2006); Finis Vitae, a sua cura (ed. italiana Roma 2006, ed. inglese Roma 2007); La dittatura del relativismo (Chieti 2007, tradotto in croato, polacco e portoghese).





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Mauro Gagliardi - LITURGIA FONTE DI VITA - Fede & Cultura, 2009 - pagg. 240, euro 21,00


Scritto in base ad una solida competenza scientifica, ma con stile accessibile anche al grande pubblico, questo libro ha il pregio di proporre una visione della liturgia che, senza omettere numerosi dati biblici, patristici e storici, viene operata principalmente in prospettiva teologica. L’esperienza odierna insegna che sacerdoti, religiosi, seminaristi e laici sono alla ricerca ansiosa di una solida comprensione teologica della liturgia, quale l’autore offre in queste pagine, che rappresenti il fondamento su cui sviluppare una prassi celebrativa più consona ai sacri misteri, nonché un antidoto al tanto mal praticato «adattamento pastorale» della liturgia, che si è ampiamente diffuso negli ultimi decenni. Tutto ciò viene qui sviluppato secondo quella «ermeneutica della continuità» che Papa Benedetto XVI sta additando ai teologi quale loro compito urgente in questa nostra epoca. Nella sua Prefazione al volume, l’Arcivescovo Mauro Piacenza, Segretario della Congregazione per il Clero, attesta che «la lettura di questo libro gioverà certamente a tutti coloro che desiderano comprendere la grandezza del mistero liturgico ecclesiale».


Mauro Gagliardi, nato nel 1975, nel 1999 è stato ordinato Presbitero dell’Arcidiocesi di Salerno, nella quale svolge il ministero di Viceparroco ed Assistente diocesano della FUCI. Dottore in Teologia (Gregoriana, Roma 2002) ed in Filosofia (L’Orientale, Napoli 2008), dal 2007 è Ordinario della Facoltà di Teologia dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma e dal 2008 Consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice. Ha pubblicato diversi volumi, articoli e contributi a miscellanee, sia in Italia che all’estero.


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Giuseppe Brienza - UNITA' SENZA IDENTITA' - COME IL RISORGIMENTO HA SCHIACCIATO LE DIFFERENZE TRA GLI STATI ITALIANI - Editore Solfanelli, 2009


Dal 2008, grazie al decreto firmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri Romano Prodi su proposta del suo ministro dei beni culturali Francesco Rutelli l’anno prima, hanno purtroppo luogo nel nostro Paese “celebrazioni” per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia, che culmineranno nel 2011 con manifestazioni, convegni e pubblicazioni per dar vita all’omonimo “grande evento” nazionale.

Questo saggio, in contro-tendenza rispetto al conformismo ufficiale, completa la nuova critica storiografica sul “Risorgimento” (detta a sproposito “revisionismo”), dimostrando come l’“Unità piemontese”, ben lungi da essere stata una unificazione, abbia invece schiacciato anche il pluralismo dei poteri istituzionali e la ricchezza delle prassi amministrative “pre-unitarie”. Sulla scorta della lezione di storici dell’amministrazione come Gianfranco Miglio e Roberto Ruffilli (quest’ultimo assassinato dalle Brigate Rosse nel 1988), l’Autore prende quindi in considerazione la realtà politico-amministrativa degli Stati italiani pre-1861 per cercare di proporre una prospettiva oggettiva che superi le contrapposizioni cui ancora si assiste non appena si tocchi in maniera non conforme alla vulgata dominante questa pagina di storia che, a distanza di un secolo e mezzo, i “vincitori” pensavano ormai di aver “archiviato”, in quanto definitivamente imposta (tramite un uso propagandistico della memorialistica e la reiterazione di racconti di comodo in migliaia di pubblicazioni e manuali scolastici) ai “vinti”.


Giuseppe Brienza, giornalista pubblicista, è dottore di ricerca presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Roma “La Sapienza”.

Cultore di Storia del Cristianesimo e della Chiesa all’Università Europea di Roma (UER) e corrispondente dell’Istituto Storico per lo studio dell’Insorgenza e dell’Identità Nazionale (I.S.I.I.N.) di Milano, attualmente collabora con le riviste Nova Historica, Studi Cattolici, Radici Cristiane, Fides Catholica, il Borghese, Divinitas e Il Corriere del Sud.

Ha pubblicato una cinquantina di saggi scientifici ed i libri: Famiglia e politiche familiari in Italia (con una prefazione del vicepresidente della Camera dei deputati Rocco Buttiglione, Carocci editore, Roma 2001), Famiglia, sussidiarietà e riforma dei servizi sociali (Città Nuova Editrice, Roma 2002), Libertà ed identità religiosa nell’Unione europea (con una prefazione del presidente della delegazione del Pdl al Parlamento europeo On. Mario Mauro, Edizioni Solfanelli, Chieti 2006, vincitore Selezione saggistica edita del Premio letterario internazionale ArchéAnguillara Sabazia-Città d’Arte”, Roma 2007), I Gesuiti e la Rivoluzione italiana nel 1848 (Edizioni Solfanelli, Chieti 2007) e Identità cattolica e anticomunismo nell'Italia del dopoguerra. La figura e l'opera di mons. Roberto Ronca (D'Ettoris Editori, Crotone 2008).


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Tommaso Romano - ESSERE NEL MOSAICOSMO - edizioni Thule, 2009

Le parole della libertà umana

e la loro raccolta divina nel mosaico


di Piero Vassallo


In una smagliante pagina degli esercizi spirituali tenuti ad Assisi, il cardinale Giuseppe Siri ha dimostrato che tutto quello che reputiamo nostro lo abbiamo ricevuto da altri.

Questa verità s’impone specialmente agli uomini di cultura, obbligandoli a contrastare le angeliche chimere – da Maria Adelaide Raschini dette ultracogitazioni - dei cartesiani e degli idealisti, che istigano a disprezzare l’esperienza e a vantare la creatività del vuoto pensiero.

La conoscenza, invece, è un abito tagliato nella stoffa delle verità contemplate da quei pensatori divinamente ispirati, che hanno bussato con umiltà alla porta del mondo reale, cioè alla fonte di tutte le nozioni che l’umana ragione può elaborare.

Tommaso Romano, prima che raffinato scrittore e straordinario organizzatore culturale, è uomo obbediente all’insaziabile e mai mondana curiosità, all’edificante passione che, nella precoce adolescenza, gli fu comunicata dagli intemperanti futuristi oltre che dal sulfureo Evola e dal fumoso Guénon.

Oggi egli dichiara orgogliosamente la fedeltà alla lezione tomista degli inattuali e censurati Cornelio Fabro e Antonio Livi. E con la loro solida saggezza si tiene lontano dalla superbia incubante nei sogni della ragione assoluta.

Nei dialoghi con Patrizia Allotta e Luca Tumminello (cfr. l’affascinante “Essere nel mosaicosmo”, Thule – Spiritualità e letteratura, Palermo 2009) Tommaso Romano elenca le sterminate letture che hanno nutrito il suo pensiero, rendendolo immune dall’autismo filosofico sempre in agguato.

Ora mosaicosmo, è un neologismo coniato da Tommaso Romano per significare il concerto delle verità nascoste negli squadernati pensieri dell’umanità, cioè “rappresentazione corale del concerto degli spiriti, di tutti gli spiriti, di tutti gli spiriti nessuno escluso, che con gradazioni e intensità diverse collaborano a formare la catena che non si spezza tra vita e oltre vita … la vita di ogni uomo va intesa come scheggia, frammento, una tessera del grande mosaico che diviene nel suo farsi e che, comunque, non è mai avulsa dal contesto e quindi né dalla vita reale né dalla vita di relazione”.

La novità introdotta da Tommaso Romano consiste in un’audace e geniale applicazione alla storiografia filosofica della scienza nuova vichiana – la scienza secondo cui “egli è questo mondo senza dubbio uscito da una mente spesso diversa ed alle volte tutta contraria e sempre superiore ad essi fini particolari ch’essi uomini si avevan proposti”.

Nelle pagine di Tommaso Romano, dettate da un’alta stima della dignità umana, il mosaicosmo appare come la copia terrestre della verità rivelata dal cielo, un’ideale, armoniosa antologia di frammenti ritagliati con intelletto d’amore (ecco un segno della fedeltà all’insegnamento di Attilio Mordini) dalle diverse e talora contrarie pagine dell’immensa biblioteca filosofica e letteraria.

L’architrave della costruzione di Romano è la fede in Cristo: “Per me l’incontro con Cristo è stato per molti versi sconvolgente, e quotidianamente lo è ancora oggi volendo aderire al suo messaggio che ogni giorno richiede verifica. Infatti, nell’arco della nostra esistenza nulla è scontato e ogni momento appare come una sorta di traditio e renovatio insieme. … Gesù nell’Incarnazione diventa nella sua umana e divina pienezza, una pietra di paragone, una pietra di scandalo e di confronto. Ma per questo anche di salvezza ”.

Nel mosaico composto secondo le misteriose leggi della concordia discors, le luci albeggianti di Seneca Marco Aurelio, Gabriele D’Annunzio, Ezra Pound, Mircea Eliade, Ernst Jünger, sono sapientemente associate alle luci del meriggio cristiano, Tommaso, Agostino, Dante, Petrarca, Vico, Kierkegaard. Edith Stein, Fabro.

Nel disegno c’è posto anche per i maestri e gli amici frequentati dall’autore: Giuseppe Maria Sciacca, Filippo Pugliesi, Giulio Bonafede, Giuseppe Petralia, Attilio Mordini, Francisco Elias de Tejada, Silvano Panunzio, Mario Attilio Levi, Augusto Del Noce, Francesco Grisi, Francesco Mercadante, Giulio Palumbo, Pietro Mirabile, Marcello Veneziani.

Quasi componendo un trattato sull’uso cristiano (e umanistico) dei concetti elaborati da pensatori lontani, Tommaso Romano applica fedelmente l’esortazione di Cornelio Fabro ad “assumere dall’affascinante avventura del pensiero moderno, l’istanza della radicalità”.

L’avventura cristiana di Romano, infatti, procede tra la verità intollerantissima e la carità tollerantissima. E associa, costi quel che costi, lo stupore di fronte all’ingegno umano all’intransigente amore per la verità indeclinabile. Di qui l’intrepida sfida all’immanentismo moderno: “La valutazione dell’unicità e irripetibilità dell’uomo non può che andare di pari passo con la messa in discussione dell’antropocentrismo, che apre la modernità con Cartesio e Diderot, che rinuncia all’ipotesi di Dio, all’alterità, a ciò che Virgilio, nelle Georgiche definisce «Felix qui potuit rerum conoscere causas». … Bisogna partire dalla classiche domande chi sono, da dove vengo, dove vado”.

La teoria del mosaicosmo, in definitiva, è una felice alternativa al relativismo soggiacente alle acrobatiche dottrine dell’et … et…: dimostra, infatti, che alla pietà è possibile viaggiare attraverso i genî del mondo moderno senza nulla concedere ai princìpi della confusione babilonese.


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Riccardo Pedrizzi - FEDE, ECONOMIA E SVILUPPO - Editoriale Pantheon, 2009


La dottrina sociale cattolica, oltre l’incubo della stregoneria finanziaria


di Piero Vassallo


Gianfranco Fini, per rimuovere un serio ostacolo all’avventurosa corsa sulla pista anticattolica tracciata dai poteri forti, ha escluso dalla lista dei candidati al parlamento Riccardo Pedrizzi, uno dei pochi studiosi d’area dotato della cultura necessaria a dare un’identità italiana alla politica della destra (gli altri, meticolosamente allontanati e silenziati, sono Fausto Gianfranceschi, Fausto Belfiori, Massimo Anderson, Pietro Giubilo, Tommaso Romano, Angelo Ruggiero, Paolo Caucci, Roberto De Mattei, Luigi Gagliardi, Guido Vignelli, Marco Ferrazzoli, Luciano Garibaldi, Alberto Rosselli).

Il valore di Pedrizzi, ossia l’irriducibilità del suo pensiero al relativismo rampante, che è professato dagli intellettuali impegnati (da Fini) a sprofondare nell’anonimato la cultura di destra, si può facilmente misurare leggendo il suo animoso e documentato saggio, “Fede, economia e sviluppo”, uscito in questi giorni dai torchi della casa editrice romana Pantheon.

Pedrizzi sostiene che la devastante crisi economica in atto dipende dalla degenerazione negromantica, che ha trasformato gli istituti di credito in case da gioco, dove il fiume del denaro virtuale in furente discesa verso l’azzardo, si gonfia fino a raggiungere una dimensione dieci volte superiore al Pil mondiale.

Ora è accertato e Pedrizzi lo ripete opportunamente che soltanto “in un mercato ben funzionante, che può esistere quando la maggior parte degli agenti economici si comporta conformemente all’etica del mercato sostenibile, le imprese e le banche possono prosperare”.

Il neoliberalismo è sceso nel gorgo dell’immoralità prodotta dai suoi princìpi. L’unica ideologia sopravvissuta alle tempeste del XX Secolo si scioglie insieme con la carta straccia, su cui il finanziere Madoff ha stampato i numeri della magia nera.

Con il liberalismo reale svanisce il mito della mano magica del mercato (mano magica dell’egoismo sfrenato, in ultima analisi) e si dimostra che “non esiste un mercato che si auto-regolamenta da solo, come in un clima di ebbrezza neoliberista, si era predicato con ossessione”.

Il rigurgito socialista-statalista è scongiurato dalla certezza che la degenerazione quasi malavitosa dell’attività finanziaria è connessa ad un impoverimento dell’autorità della legge, decadimento proporzionato all’innaturale dilatazione delle funzioni pubbliche.

L’elevazione dello stato ad altezze vertiginose e “aliene” e l’esorbitanza dei poteri pubblici, infatti, allontanano l’autorità delle leggi dalla sensibilità morale che ha sede nella coscienza dei singoli e nella cultura delle società pre-politiche.

La principale causa della catastrofe finanziaria, in definitiva, risiede nella drastica riduzione delle funzioni che appartengono ai corpi intermedi e nell’impoverimento del loro contributo al rispetto delle leggi.

Al proposito, Pedrizzi cita un passo dell’enciclica “Quadragesimo anno”, in cui Pio XI dichiara che “è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare”.

Di qui la riaffermazione del principio di sussidiarietà e il rilancio della dottrina sociale cattolica che afferma la necessità di stabilire dei corpi intermedi tra la persona e lo stato. E di qui, infine, l’urgenza di ridimensionare e sfoltire la macchina dello stato mangiasoldi, a cominciare dai due rami pletorici e spreconi del parlamento.

La brillante avventura culturale di Riccardo Pedrizzi ha avuto inizio negli anni Settanta quando la sua tesi di Laurea ha vinto il premio della Fondazione Gioacchino Volpe. In seguito ha pubblicato numerosi saggi, fra i quali si segnalano “La dottrina sociale cattolica: sfida per il Terzo Millennio”, “I proscritti Pensatori alla sfida della modernità” e “Giovanni Gentile, il filosofo della nazione”. E’ stato senatore durante tre legislature.


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Pierfrancesco Prosperi - LA MOSCHEA DI SAN MARCO. La vita nell'Italia dominata dall'islam - Editrice Bietti, 2007 - pagg. 331


«Quando gli scrittori di fantascienza anticipano i politologi», potrebbe essere il sottotitolo di questo articolo. Infatti, qualche giorno fa, il professor Panebianco in un fondo del Corriere si poneva (a nostro avviso, con molto ritardo) il problema della nascita di un partito di ispirazione religiosa islamica nei vari Paesi della Unione Europea, cosa che sta avvenendo già in Spagna. Partiti che non potrebbero che essere «identitari» e quindi inevitabilmente fondamentalisti. Che cosa avverrebbe se si presentassero alle elezioni politiche? Il Foglio faceva in seguito notare come in altre nazioni ciò fosse avvenuto e si fosse risolto con un flop, dato che i cittadini europei di religione musulmana in genere votano i già esistenti partiti di sinistra. L’ipotesi era stata prevista però due anni fa da un autore italiano, Pierfrancesco Prosperi, architetto di professione e scrittore di fantascienza per vocazione sin dagli anni Sessanta con un centinaio di racconti e una decina di romanzi al suo attivo, che nel 2007 aveva pubblicato La moschea di San Marco e che adesso torna in libreria con il seguito, La Casa dell’Islam (entrambi i volumi editi da Bietti).

Prosperi, come ogni avveduto narratore dalla mentalità speculativa, osserva la realtà e, dai sintomi che vede, ne trae le debite conseguenze portandole alle estreme ma logiche conseguenze e scrive una storia per ammonire i lettori: se le cose continuano come vediamo, ecco ciò che potrebbe succedere. È il meccanismo che muove ogni autore di anti-utopia che si rispetti, spesso del tutto inascoltati: si pensi a Zamjatin sul comunismo, Huxley sullo scientismo, Orwell sulla dittatura mediatica e quello che oggi chiamiamo il politicamente corretto (la modifica delle parole) e così via. Si parva licet componere magnis, Prosperi fa lo stesso.

E si immagina, nel primo romanzo, la nascita nel Belpaese di un Partito della Verità, espressione dei musulmani italiani che, con un sanguinoso marchingegno, svelato dal doppio colpo di scena finale, vince le elezioni politiche del 2015. Il tutto è visto attraverso gli occhi del commissario Visconti, un fiorentino reso cinico dalle esperienze personali e professionali, che farà da filo conduttore anche ne La Casa dell’Islam. Che cosa rende possibile una situazione del genere, a prima vista impensabile? Lo rende possibile quel che ben si potrebbe definire il tradimento dei chierici nel senso più ampio del termine: sia ecclesiastici, sia intellettuali. Infatti, quel che spiana man mano la strada all’affermazione di un Islam radicale italiano è il «buonismo» esasperato, è l’ossessione del «politicamente corretto» spinto sino al suicidio culturale. Non per nulla le desolate parole conclusive de La moschea di San Marco son proprio queste: perché è stato possibile tutto ciò? Forse perché siamo troppo buoni?

È la Chiesa cattolica che con il suo ultimo Papa, proprio nel senso delle profezie di Malachia (Benedetto XVI è il penultimo della serie), e che si chiama – appunto – Pietro Romani, abdica al proprio ruolo nel nome dell’ecumenismo planetario ammettendo la supremazia dell’Islam; e sono certi politici e intellettuali «impegnati» che non trovano nulla di strano a cedere a ogni richiesta dei musulmani italici in nome di astrazioni illuministe. Intendiamoci bene, l’autore rispetta l’Islam in quanto tale e la sua denuncia è solo nei confronti dell’estremismo fondamentalista che è in genere quello che più si afferma: nella talebanizzazione italiana i primi a rimetterci (anche la pelle) sono i musulmani moderati, la setta dei pacifici e mistici sufi.

La vicenda della Repubblica Islamica d’Italia è lo sfondo del secondo romanzo adesso in libreria: ma non è facile trasformare l’italiano, anarchico per natura, in un homo islamicus. Di fronte agli estremismi delle milizie in verde c’è una resistenza passiva e a volte ingegnosa (come le chiese gonfiabili dei preti che non accettano la resa del Vaticano e che dicono messa qua e là), a volte inaspettata (più delle donne che degli uomini, come le atlete che si rifiutano di partecipare alle gare del tutto intabarrate). Nel 2020, l’anno in cui è ambientata la storia, avviene anche una secessione: il Nord-Est al di là del Po proclama la separazione e la Repubblica del Sud, privata delle industrie settentrionali, si trova in seria difficoltà. Un tema che pensiamo sarà sviluppato nel terzo romanzo della serie.

Prosperi ha uno stile asciutto, a volte fin troppo sintetico e in 99 brevi capitoli (quanto le sure del Corano), seguendo il lavoro del commissario Visconti che indaga sull’assassinio di un notabile del Partito della Verità, intreccia le storie di personaggi diversi che alla fine compongono il quadro completo della situazione di questa Italia prossima ventura, inserendo ogni tanto documenti vari (articoli, interviste, capitoli di libri del nostro ipotetico, ma non impossibile, futuro).

Sono i fatti che parlano: esagerazioni, provocazioni dell’autore? No perché, come avvertono le note in fondo al libro, molte volte quelle che sembrano invenzioni sono già, in vari Paesi europei, realtà. Quel che Prosperi condanna, lo ripetiamo, non è l’Islam in sé, e neppure la convivenza di religioni diverse in una stessa nazione, bensì la supina accettazione delle pretestuose sopraffazioni dell’Islam radicale, minaccioso e arrogante. Un’acquiescenza suicida che nasce dalla vigliaccheria, dalla paura e da un’astrattezza slegata dalla realtà: il regista Emmerich non ha forse ammesso che nel suo 2012 si vedono distruzioni di chiese e di sinagoghe ma non di moschee per evitare grane con i musulmani? Se siamo giunti a questo punto di autocensura, forse La Casa dell’Islam è anche troppo ottimista.


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