Camillo Langone - MANIFESTO DELLA DESTRA DIVINA - Editore Vallecchi, 2009 - pagg.168, euro 12,00


Una destra divinamente chic.

La tradizione come risposta alle battute di Giorgio Gaber


di Piero Vassallo



Strumenti utili all’educazione dei popoli all’onestà di vita, che costituisce il fine ultimo dell’azione politica, non sono i testi teologici e filosofici accessibili soltanto agli studiosi, ma i discorsi retorici, che incidono sull’animo umano, infiammandolo e mettendolo in condizione di adeguare l’agire alla verità.

Insorgendo contro il razionalismo cartesiano, Giambattista Vico elaborò una ratio studiorum intesa alla formazione di educatori e politici capaci di indirizzare i sudditi al bene mediante l’uso religioso dell’eloquenza.

Sant’Alfonso de’ Liguori, il quale, prima di diventare grande educatore, fu studente nell’università di Napoli dove Vico insegnava, fu luminoso interprete della retorica intesa come reazione al razionalismo dilagante nel XVIII secolo. Reazione che seppe far scendere (senza tradirla) la teologia in un discorso accessibile anche agli analfabeti.

Non avrebbe pertanto senso contestare il tentativo di volgere il pensiero tradizionale in un discorso retorico, comprensibile e godibile dalle masse giovanili, oggi frastornate dai rumori del pensiero debole e incantate dalle distrazioni della cultura di massa.

Giustificata è invece la critica della cultura di destra agitata dalla frenesia dell’et … et e perciò intesa – qualunquisticamente - all’accatto di pensieri, figure e immagini estranee alla sua autentica tradizione.

Esempio di tale tendenza è la solenne litania di antitesi stereotipate, proposta da Camillo Langone nel “Manifesto della destra divina”, edito in questio giorni dalla fiorentina Vallecchi.

La destra divina, di Langone, è frutto del tentativo oggettivamente umoristico di dare una risposta seria alla scherzosa domanda di Giorgio Gaber “che cosa è la destra?”.

Sciorina, infatti, una paradossale sequenza di sfide - caccia versus animalismo, bicicletta versus aereo, gonna versus pantalone, tabarro versus Zara ecc. – che appiattiscono la tradizione sul pensiero da palcoscenico, a suo tempo proposto dai neodestri.

Fonte di tale allineamento all’avanspettacolo sincretista è il progetto di un’avanguardia disorientata, che depone la propria identità per impegnarsi nella cattura e nell’emulsione di autori lontani e incompatibili: l’effervescente Mishima e il pensoso Del Noce, il progressista Gramsci e il decadente Pessoa, il barzellettiere colombiano Gómez Dávila e San Josemaria Escrivá de Balaguer, il furente Pasolini e Dante Alighieri, per citare solo alcuni degli autori affastellati nel surreale elenco proposto da Langone.

Sia detto per inciso: il comunista Antonio Gramsci è catturato da intellettuali di destra dimentichi (o ignari) della vicenda eroica di Mario Gramsci, una storia che appartiene alla migliore destra del Novecento.

Il risultato di tali acrobazie e di tali oblii (Langone dimentica o censura tutti i pensatori che hanno illustrato e nobilitato la cultura della destra postfascista: Balbino Giuliano, Giorgio Del Vecchio, Armando Carlini, Michele Federico Sciacca, Marino Gentile, Nicola Petruzzellis, Ettore Paratore, Ernesto De Marzio, Nino Tripodi, Giovanni Volpe, Francesco Grisi, Attilio Mordini, Ennio Innocenti, Fausto Gianfranceschi, Fausto Belfiori, Primo Siena, Giano Accame, Silvio Vitale, Giovanni Torti, Roberto De Mattei, Tommaso Romano ecc.) è il deragliamento del progetto di stupire e scandalizzare in una ridicola contaminazione, degna di essere collocata nella bacheca confusionaria del club “fare futuro”.


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