Pierfrancesco Prosperi - LA MOSCHEA DI SAN MARCO. La vita nell'Italia dominata dall'islam - Editrice Bietti, 2007 - pagg. 331


«Quando gli scrittori di fantascienza anticipano i politologi», potrebbe essere il sottotitolo di questo articolo. Infatti, qualche giorno fa, il professor Panebianco in un fondo del Corriere si poneva (a nostro avviso, con molto ritardo) il problema della nascita di un partito di ispirazione religiosa islamica nei vari Paesi della Unione Europea, cosa che sta avvenendo già in Spagna. Partiti che non potrebbero che essere «identitari» e quindi inevitabilmente fondamentalisti. Che cosa avverrebbe se si presentassero alle elezioni politiche? Il Foglio faceva in seguito notare come in altre nazioni ciò fosse avvenuto e si fosse risolto con un flop, dato che i cittadini europei di religione musulmana in genere votano i già esistenti partiti di sinistra. L’ipotesi era stata prevista però due anni fa da un autore italiano, Pierfrancesco Prosperi, architetto di professione e scrittore di fantascienza per vocazione sin dagli anni Sessanta con un centinaio di racconti e una decina di romanzi al suo attivo, che nel 2007 aveva pubblicato La moschea di San Marco e che adesso torna in libreria con il seguito, La Casa dell’Islam (entrambi i volumi editi da Bietti).

Prosperi, come ogni avveduto narratore dalla mentalità speculativa, osserva la realtà e, dai sintomi che vede, ne trae le debite conseguenze portandole alle estreme ma logiche conseguenze e scrive una storia per ammonire i lettori: se le cose continuano come vediamo, ecco ciò che potrebbe succedere. È il meccanismo che muove ogni autore di anti-utopia che si rispetti, spesso del tutto inascoltati: si pensi a Zamjatin sul comunismo, Huxley sullo scientismo, Orwell sulla dittatura mediatica e quello che oggi chiamiamo il politicamente corretto (la modifica delle parole) e così via. Si parva licet componere magnis, Prosperi fa lo stesso.

E si immagina, nel primo romanzo, la nascita nel Belpaese di un Partito della Verità, espressione dei musulmani italiani che, con un sanguinoso marchingegno, svelato dal doppio colpo di scena finale, vince le elezioni politiche del 2015. Il tutto è visto attraverso gli occhi del commissario Visconti, un fiorentino reso cinico dalle esperienze personali e professionali, che farà da filo conduttore anche ne La Casa dell’Islam. Che cosa rende possibile una situazione del genere, a prima vista impensabile? Lo rende possibile quel che ben si potrebbe definire il tradimento dei chierici nel senso più ampio del termine: sia ecclesiastici, sia intellettuali. Infatti, quel che spiana man mano la strada all’affermazione di un Islam radicale italiano è il «buonismo» esasperato, è l’ossessione del «politicamente corretto» spinto sino al suicidio culturale. Non per nulla le desolate parole conclusive de La moschea di San Marco son proprio queste: perché è stato possibile tutto ciò? Forse perché siamo troppo buoni?

È la Chiesa cattolica che con il suo ultimo Papa, proprio nel senso delle profezie di Malachia (Benedetto XVI è il penultimo della serie), e che si chiama – appunto – Pietro Romani, abdica al proprio ruolo nel nome dell’ecumenismo planetario ammettendo la supremazia dell’Islam; e sono certi politici e intellettuali «impegnati» che non trovano nulla di strano a cedere a ogni richiesta dei musulmani italici in nome di astrazioni illuministe. Intendiamoci bene, l’autore rispetta l’Islam in quanto tale e la sua denuncia è solo nei confronti dell’estremismo fondamentalista che è in genere quello che più si afferma: nella talebanizzazione italiana i primi a rimetterci (anche la pelle) sono i musulmani moderati, la setta dei pacifici e mistici sufi.

La vicenda della Repubblica Islamica d’Italia è lo sfondo del secondo romanzo adesso in libreria: ma non è facile trasformare l’italiano, anarchico per natura, in un homo islamicus. Di fronte agli estremismi delle milizie in verde c’è una resistenza passiva e a volte ingegnosa (come le chiese gonfiabili dei preti che non accettano la resa del Vaticano e che dicono messa qua e là), a volte inaspettata (più delle donne che degli uomini, come le atlete che si rifiutano di partecipare alle gare del tutto intabarrate). Nel 2020, l’anno in cui è ambientata la storia, avviene anche una secessione: il Nord-Est al di là del Po proclama la separazione e la Repubblica del Sud, privata delle industrie settentrionali, si trova in seria difficoltà. Un tema che pensiamo sarà sviluppato nel terzo romanzo della serie.

Prosperi ha uno stile asciutto, a volte fin troppo sintetico e in 99 brevi capitoli (quanto le sure del Corano), seguendo il lavoro del commissario Visconti che indaga sull’assassinio di un notabile del Partito della Verità, intreccia le storie di personaggi diversi che alla fine compongono il quadro completo della situazione di questa Italia prossima ventura, inserendo ogni tanto documenti vari (articoli, interviste, capitoli di libri del nostro ipotetico, ma non impossibile, futuro).

Sono i fatti che parlano: esagerazioni, provocazioni dell’autore? No perché, come avvertono le note in fondo al libro, molte volte quelle che sembrano invenzioni sono già, in vari Paesi europei, realtà. Quel che Prosperi condanna, lo ripetiamo, non è l’Islam in sé, e neppure la convivenza di religioni diverse in una stessa nazione, bensì la supina accettazione delle pretestuose sopraffazioni dell’Islam radicale, minaccioso e arrogante. Un’acquiescenza suicida che nasce dalla vigliaccheria, dalla paura e da un’astrattezza slegata dalla realtà: il regista Emmerich non ha forse ammesso che nel suo 2012 si vedono distruzioni di chiese e di sinagoghe ma non di moschee per evitare grane con i musulmani? Se siamo giunti a questo punto di autocensura, forse La Casa dell’Islam è anche troppo ottimista.


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