Padre Giovanni Cavalcoli - KARL RAHNER, IL CONCILIO TRADITO - Fede e Cultura, 2009


Un saggio di padre Cavalcoli su Rahner - Il Vaticano II tradito dai teologi

di Piero Vassallo

Nel 1985 fu pubblicato “Rapporto sulla fede”, un libro-intervista di Vittorio Messori al cardinale Joseph Ratzinger, oggi leggibile quale anticipazione del programma di Benedetto XVI. Il cardinale, infatti, formulava alcuni degli argomenti indeclinabili, che oggi raccomandano l’interpretazione del Vaticano II alla luce di un’ermeneutica della continuità.

Nel corso dell’intervista l’allora prefetto dell’ex Sant’Uffizio denunciava il “falso spirito del concilio”, e smentiva i commentatori avventurosi, che, forzando i testi del Vaticano II, vi leggevano l’approvazione e l’incoraggiamento ai teologi della discontinuità, che, in quegli anni precipitosi, erano affaccendati a rivedere e ad aggiornare la tradizionale dottrina della Chiesa cattolica nella luce di un immaginario insegnamento conciliare.

Fondatore della nuova e spericolata teologia, era stato il gesuita Karl Rahner, un autore confutato da Cornelio Fabro nel 1974 e fermamente contestato da Joseph Ratzinger, in articoli e saggi pubblicati nel 1978 e nel 1982.

Influenzato dalla filosofia immanentistica di Hegel, cui lo aveva iniziato Martin Heidegger, Rahner riteneva che la via modernorum fosse senza ritorno e, di conseguenza, progettava il dirottamento della teologia cattolica su di essa.

La prima mossa di Rahner sulla via modernorum fu l’attenuazione buonista della legge, che stabilisce la reciproca incompatibilità del vero e del falso.

Per i seguaci di Rahner, “buono” diventò il qualunque pensatore impegnato a scongiurare i conflitti causati (si presumeva) dalla convinzione che si danno princìpi tra loro irriducibili.

Padre Giovanni Cavalcoli o. p., l’autore del saggio sulla teologia di Karl Rahner, edito dalla veronese Fede & Cultura, rammenta che, in seguito alla predicazione di Rahner, nella Chiesa cattolica si è diffusa la convinzione che “Il voler distinguere con assolutezza il vero dal falso sembra a molti espressione di presunzione e di intolleranza, sorgente di discordia e mancanza di rispetto per le idee e la coscienza degli altri. Il concetto stesso di una religione assolutamente vera che primeggi sulle altre appare a molti una pretesa imperialistica di questa sulle altre religioni” (“Karl Rahner Il Concilio tradito”, pag. 16).

Il pregiudizio buonista esige, pro bono pacis, che si metta in parentesi l’oggetto della verità in sé, e si condivida il paradosso relativista-irenista secondo cui un’affermazione vera dal punto di vista di chi la pronuncia, è vera anche dal punto di vista di chi dichiara l’esatto contrario.

Soggiacente alla flessibile misericordia, che comanda il sacrificio della verità sull’altare dell’armonia ad ogni costo, è la sentenza del guru sessantottino Herbert Marcuse, che (nel saggio “Eros e civiltà”) ha definito fascista il principio di non contraddizione, secondo cui un’affermazione non può essere vera e falsa nello stesso tempo e sotto il medesimo profilo.

Va da sé che il contrasto tra l’intollerante verità e la pace nella menzogna è un argomento sofistico, inventato dai filosofi ultramoderni di scuola heideggeriana e/o francofortese per nascondere la decisione di aggirare i princìpi indeclinabili della logica, princìpi che (a loro avviso) non sono iscritti e leggibili nella realtà ma imposti dal fascismo orrido e immenso.

La ricerca dei possibili ispiratori dell’avversione alla verità, non incontra gli apostoli della pace secondo Cristo, ma il maestro di Karl Rahner, l’astruso Martin Heidegger, autore dello stravolgente principio secondo cui “la verità non sta nel giudizio col quale l’uomo adegua il suo pensiero all’essere, ma sta nella comprensione atematica, nell’esperienza trascendentale, come situazione esistenziale emotiva del soggetto auto-cosciente, nel quale l’essere si identifica con l’essere pensato, in modo tale che la verità del pensiero è al contempo la verità dell’essere e la verità del soggetto”.

Heidegger e al suo seguito Rahner vantavano l’appartenenza alla più alta e aggiornata tradizione metafisica. In realtà il loro pensiero, avendo accolto gli errori della logica kantiana ed hegeliana, approda a risultati non molto diversi da quelli ottenuti da Jean Paul Sartre e da Claude Levy Strauss, autori di disperate chiacchiere antimetafisiche, finalizzate all’abbassamento dell’intelletto umano al livello della sensazione animalesca.

Svilimento della ragione umana e retrocessione dell’immanentismo moderno al panteismo antico costituiscono l’orizzonte ultimo del pensiero heideggeriano e rahneriano.

Ridotto la filosofia ad universale esperienza emotiva, l’errore , la non adeguazione dell’intelletto alla realtà, sprofonda in un cappello a cilindro: di qui l’opinione temeraria (affermata da Rahner) che tutti conoscano la verità attraverso la c. d. esperienza trascendentale.

Rahner sostiene che la concordia inizia dal riconoscimento che tutti gli uomini posseggono la verità e nessuno sbaglia. E propone la tesi che attribuisce agli atei la qualifica di cristiani anonimi, che in quanto tali sono naturalmente destinati alla beatitudine eterna.

Per attingere un tale pensiero Rahner è costretto a condividere il disconoscimento modernista della dottrina cattolica sulla grazia. La grazia, pertanto diventa “la natura-grazia che è sufficiente ad assicurare la felicità e la divinizzazione dell’uomo”.

Oscurata la nozione della grazia la trascendenza divina evapora. Rahner “finisce nel vedere nel soprannaturale niente più che uno sviluppo totale e finale del naturale o un approfondimento di quest’ultimo, come se l’uomo elevandosi al massimo delle sue possibilità potesse diventare Dio”.

Padre Cavalcoli osserva che Rahner cade in un tale errore perché applica il trascendentale alla cristologia: “Ma questo è un fatto grave perché Cristo da mistero di fede diventa un’entità metafisica, un trascendentale, un contenuto apriorico della coscienza trascendentale atematica, un’esigenza strutturale e fisiologica, non liberamente scelta, di ultima pienezza umana, in linea del resto con tutto il pensiero rahneriano, dove il divino e il soprannaturale costituiscono un’esigenza di razionalità e di umanità, che tutti sentono cristiani anonimi) e che in tutti viene soddisfatta” (op. cit. pag. 185)

Come ha dimostrato il cardinale Giuseppe Siri nel saggio “Getsemani Riflessioni sul movimento teologico contemporaneo”, la teologia di Rahner vuole convincere il lettore che “Dio e l’uomo hanno la stessa essenza”. Una conclusione catastrofica che affonda la fede cattolica nella disperata filosofia di Heidegger, dove Dio e l’uomo circolano eternamente intorno all’essere per il nulla.

Il sottotitolo del saggio di padre Cavalcoli (“Il Concilio tradito”) manifesta l’opinione dell’autore sull’influsso dell’antropologia rahneriana (confutata secondo una linea di pensiero che tiene conto e approfondisce le ragioni esposte nel saggio “La svolta antropologica di Karl Rahner”, scritto da padre Cornelio Fabro, nei primi anni Settanta) nelle esorbitanze ecumeniche elucubrate in nome di un presunto “spirito del concilio Vaticano II”.

Non solo nelle stravaganze postconciliari: padre Cavalcoli, infatti, facendo propria e sviluppando una tesi di monsignor Brunero Gherardini, dimostra che il buonismo di Rahner si è insinuato di soppiatto nei testi conciliari, ad esempio nella traduzione italiana della Gaudium et Spes, che invita ad un esame più serio e profondo delle ragioni che si nascondono nella mente degli atei, quasi che esistano delle serie ragioni per essere atei.

Di qui l’auspicio, formulato nella magnifica conclusione, che il Magistero della Chiesa sconfessi apertamente la finzione buonista e “metta in luce con chiarezza quali sono le dottrine nuove del Concilio, non secondo un’esegesi di rottura, ma come esplicazione della Tradizione, lasciando così una giusta libertà di critica nei confronti invece di quelle disposizioni pastorali che sembrano o si sono verificate meno opportune e magari rivedibili o abrogabili per assicurare e promuovere il bene e il progresso della Chiesa nella Verità” (op. cit., pag. 345).

Senza ombra di dubbio l’auspicio di padre Cavalcoli corre incontro alle sapienti intenzioni di Benedetto XVI, oltre che alle speranze di tutti i credenti. La lettura del suo pregevole saggio, pertanto, è raccomandata a quanti hanno a cuore il vero bene della Chiesa cattolica.


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